A partire dal 1997, il 2 febbraio di ogni anno si celebra la Giornata Mondiale delle Zone Umide. In questa data cade, infatti, la ricorrenza dell’adozione della Convenzione sulle zone umide di importanza internazionale, siglata a Ramsar (Iran) il 2 febbraio 1971.
Per zone umide si intendono, ai sensi della sopracitata Convenzione, “le paludi e gli acquitrini, le torbiere oppure i bacini, naturali o artificiali, permanenti o temporanei, con acqua stagnante o corrente, dolce, salmastra, o salata, ivi comprese le distese di acqua marina la cui profondità, durante la bassa marea, non supera i sei metri”. Possono far parte delle zone umide anche opere artificiali quali casse di espansione, invasi di ritenuta, cave di inerti per attività fluviale, canali, saline e vasche di colmata. In Italia, i siti Ramsar individuati sono 51 con una superficie complessiva di 60.052 ettari.
Queste aree, ben delimitate, accolgono la più grande biodiversità della Terra, sono al centro di imponenti fenomeni migratori e contribuiscono alla limitazione di fenomeni meteorologici estremi. Allo stesso tempo, questi ecosistemi sono estremamente sensibili all’impatto dei mutamenti climatici ed è fondamentale garantire la loro salvaguardia.
Le minacce a questo habitat possono venire dalle pratiche più disparate: dall’abbandono delle tradizionali attività agricole e pastorali all’alterazione dei sistemi idrici, dall’avvio di pratiche agricole intensive all’inquinamento, dalla introduzione di specie animali e vegetali aliene all’urbanizzazione e allo sviluppo di infrastrutture. Come troppo spesso succede, l’azione umana ha delle grandi responsabilità nei confronti del depauperamento di queste risorse naturali, soprattutto a causa dell’uso intensivo del suolo e per l’uso massiccio di diserbanti.
Per salvaguardare le zone umide è necessario ridurre l’inquinamento degli ecosistemi acquatici migliorando la depurazione. Inoltre, è di capitale importanza ridurre diminuire la pressione esercitata sull’ambiente da mini impianti idroelettrici che vengono utilizzati per la produzione di energia, ma modificano l’idromorfologia dei fiumi senza rispettare gli ecosistemi acquatici.
Per valorizzare queste aree, vengono annualmente attivati progetti di ricerca e studio con l’obiettivo di avviare azioni di miglioramento e tutela.