La natura come scuola di virtù

Quando si parla di Cinismo come corrente filosofica, la mente corre all’antica Grecia, a figure emblematiche come Diogene di Sinope, uno dei più celebri cinici, che visse in una botte, rifiutò le convenzioni sociali e predicò la virtù attraverso la semplicità e l’essenzialità. Il Cinismo, nella sua versione originaria, era più di una teoria: era una pratica di vita che tentava di liberare l’individuo dai condizionamenti sociali, dalle ricchezze inutili, dalle leggi non naturali, per condurlo verso un’esistenza in armonia con la natura, senza artifici, in totale indipendenza spirituale.
Traslando questi principi nell’ambito dell’escursionismo, nasce la figura dell’“escursionista cinico”. Ma che cosa significa camminare nella natura in modo cinico? Non si tratta di un cinismo moderno, inteso come diffidenza o disincanto amaro. Piuttosto, l’escursionismo cinico richiama l’ideale antico del vivere secondo natura, del ridurre i bisogni al minimo, del considerare le convenzioni sociali superflue. L’escursionista cinico affronta la montagna come uno scenario in cui testare la propria libertà, lontano dai fronzoli e dalle comodità della vita urbana, per riscoprire cosa significa essere esseri umani “nudi” di fronte alla natura.
Il contesto filosofico: il Cinismo greco
La filosofia cinica nacque ad Atene nel IV secolo a.C. tra i seguaci di Antistene (un discepolo di Socrate) e trovò nel leggendario Diogene di Sinope il suo maggior rappresentante. I cinici rifiutavano i costumi, la ricchezza, i valori e le gerarchie sociali della polis greca. Non cercavano rifugio nella solitudine astratta o nell’isolamento totale, ma vivevano spesso in città, sfidando apertamente le convenzioni. Il loro obiettivo era la virtù, vista come autosufficienza, indipendenza e integrità morale, ottenute liberandosi da ogni bisogno superfluo.
Essere cinici significava ridurre al minimo l’attrezzatura della vita: niente ricchezze, niente proprietà inutili, nessuna dipendenza dal giudizio altrui. Il cinico era come un cane randagio (da qui l’origine del nome “cinico”, dal greco “kynikos”, cioè “canino”), libero e sfrontato, in grado di sopravvivere con poco, di adattarsi a ogni situazione e di non essere schiavo delle opinioni altrui.
L’applicazione al mondo dell’escursionismo
L’escursionismo moderno è spesso caratterizzato da un forte orientamento al comfort, alla sicurezza e, talvolta, al consumo: attrezzature all’avanguardia, abbigliamento tecnico, calzature di ultima generazione, e un intero mercato di prodotti per rendere l’esperienza outdoor più comoda possibile. L’escursionismo cinico rovescia questa prospettiva. Esso invita a considerare la montagna non come un luogo da “catturare” con selfie o da percorrere con l’equipaggiamento più costoso, ma come uno spazio primordiale dove riscoprire la nudità esistenziale dell’uomo.
Come il filosofo cinico viveva in una botte, si riparava dal freddo con un mantello e si cibava di ciò che trovava, così l’escursionista cinico riduce il proprio equipaggiamento al minimo indispensabile. Non si tratta necessariamente di avventurarsi scalzi o di mangiare bacche crude (anche se un cinico particolarmente radicale potrebbe considerarlo!), ma di ridurre, dove possibile, l’intermediazione della tecnologia e del superfluo tra sé e la natura. Uno zaino leggero, un paio di scarponi robusti ma non ultratecnologici, abiti semplici e resistenti, una borraccia, una mappa cartacea: l’essenzialità è la chiave.
I principi dell’escursionismo cinico
- Riduzione dei bisogni:
L’escursionista cinico non cerca la comodità, anzi la considera un ostacolo all’autenticità dell’esperienza. Riducono i propri bisogni al minimo: niente zaini strapieni di gadget, niente cibi complicati e preconfezionati. Un pezzo di pane, un po’ d’acqua, magari qualche frutto raccolto sul cammino (dove consentito e senza danneggiare l’ambiente), bastano per sopravvivere alla giornata. Questo atteggiamento insegna l’autosufficienza e l’indifferenza verso ciò che non è strettamente necessario. - Rifiuto delle convenzioni sociali:
L’escursionista cinico non si preoccupa di apparire alla moda, né di seguire i trend del momento. Non importa se l’abbigliamento è datato o non sponsorizzato da un grande marchio. Non si cura delle fotografie su Instagram. Il suo obiettivo non è ottenere l’approvazione di una community, ma trovare la libertà interiore nella semplicità. - Vivere secondo natura:
Il concetto di “vivere secondo natura” per i cinici significava conformare la propria vita ai principi più elementari della realtà, senza sovrastrutture culturali artificiose. Nell’escursionismo questo si traduce nel cercare un rapporto diretto con l’ambiente: percorrere sentieri senza fretta, percepire il vento, il sole, la pioggia, sentire la fatica dei muscoli senza lamentarsi o cercare scorciatoie. La natura è maestra e specchio di una verità non filtrata. - Libertà dagli oggetti e dagli status symbol:
Il cammino cinico non è una passerella per mostrare l’ultimo modello di giacca tecnica impermeabile o lo smartwatch col GPS integrato. Piuttosto è un esercizio di libertà dai simboli di status. Ciò può apparire provocatorio: perché rinunciare a strumenti utili? Perché sfidare la pioggia senza una super attrezzatura? La risposta cinica è che la virtù sta nella capacità di resistere, di vivere bene anche in condizioni non ottimali, imparando dal disagio e dalla mancanza. - Autenticità e franchezza:
I cinici erano noti per la loro parresia, la schiettezza di linguaggio e di vita. L’escursionista cinico potrebbe dunque essere schietto, non cercare di addolcire l’esperienza. Se piove, piove; se si è affamati, si è affamati. Non c’è bisogno di mascherare le condizioni reali del percorso con metafore poetiche, né di trasformare la camminata in un rito estetico. È una prova onesta con se stessi.
La dimensione etica e spirituale
Camminare in modo cinico non è solo un esercizio fisico, ma una pratica etica e spirituale. Ridurre i bisogni, rifiutare gli orpelli, affrontare il cammino con sobrietà significa anche interrogarsi sui propri valori. Di fronte a una salita ripida senza il supporto dell’ultimo ritrovato tecnologico, si scopre se stessi: si comprende meglio quanta resistenza mentale si possiede, quanto si è pronti ad accettare la realtà per quella che è, senza cercare continue compensazioni artificiali.
L’escursionismo cinico diventa una forma di ascetismo laico: una scuola di disciplina interiore, in cui i comfort cedono il passo a una ricerca di autenticità che produce un intimo senso di libertà. Camminando con poco, si impara a riconoscere l’eccesso. Accettando il vento freddo sul viso, si impara ad apprezzare il calore del sole al suo apparire. Non si tratta di mortificazione fine a se stessa, ma di liberazione: non dipendere dal superfluo rende più forti, moralmente e spiritualmente.
L’impatto sull’ambiente
La scelta cinica, improntata alla semplicità, può avere risvolti positivi anche sull’ambiente. Ridurre il superfluo significa non consumare oggetti inutili, non lasciare troppi rifiuti, non incidere sul territorio con pratiche invasive. L’escursionista cinico non lascerà traccia del suo passaggio, se non le impronte dei piedi. Non trasporterà cibo confezionato in mille involucri di plastica, non necessiterà di strutture elaborate o mezzi a motore per raggiungere l’inizio del sentiero. Questo stile di escursionismo si sposa con un approccio ecologico “low impact”, dove l’essere umano cerca di integrarsi con la natura anziché imporsi su di essa.
Critiche e possibili obiezioni
L’escursionismo cinico non è per tutti, né pretende di esserlo. Molti potrebbero obiettare che il nostro contesto storico è diverso da quello dell’antica Grecia, che certe privazioni sono inutili o perfino sciocche, data la disponibilità di strumenti in grado di migliorare la sicurezza. Ed è vero: la sicurezza non va sacrificata per estremismo. L’escursionista cinico non è un sconsiderato. Può utilizzare una mappa, una giacca antipioggia di base e un paio di buone scarpe: non si tratta di mettere a repentaglio la propria incolumità, ma di ridimensionare le aspettative di comfort.
Altri potrebbero ritenere che non ci sia nulla di male nel voler scattare fotografie o godere del buon cibo in montagna. E hanno ragione: non c’è un dogma da seguire. L’escursionismo cinico è un modello provocatorio, un invito a riflettere sui nostri approcci, non una legge morale universale. È una possibilità, un gioco filosofico, un richiamo a non dare per scontate le comodità e le convenzioni.
Come praticare l’escursionismo cinico
- Scegli sentieri semplici per iniziare: Non serve partire con un percorso estremo. Basta un sentiero vicino casa. Lascia a casa gli strumenti non indispensabili.
- Valuta la tua attrezzatura: Hai davvero bisogno di tutto ciò che porti di solito nello zaino? Forse no. Elimina il superfluo, tieni solo ciò che è strettamente necessario per la sicurezza e l’idratazione.
- Affronta le intemperie con serenità: Se piove leggermente, non correre a cercare il rifugio più vicino. Impara a camminare sotto una leggera pioggia. Se fa caldo, sopporta la sete con moderazione prima di bere, senza esagerare.
- Non cercare approvazioni: Non pubblicare subito le foto dell’escursione, non vantarti sui social. Tienila per te, come un’esperienza intima.
- Osserva le tue reazioni: Come ti senti senza i soliti comfort? Cosa impari su te stesso? Queste domande sono l’essenza della pratica cinica.
Conclusioni: una provocazione filosofica
Come tutti gli esercizi filosofici, anche l’escursionismo cinico è una provocazione: ti mette di fronte all’interrogativo su cosa sia davvero importante quando cammini nella natura. Ti chiede di riconsiderare la relazione fra te, il paesaggio, gli strumenti, il superfluo e l’essenziale. Non è detto che tu debba diventare un perfetto “cane-filosofo” in stile Diogene e rinunciare a ogni comodità, ma anche una piccola riduzione del superfluo può aprire orizzonti di comprensione inaspettati.
In un mondo in cui tutto sembra progettato per garantire comfort, l’escursionismo cinico ricorda che l’essere umano può trovare libertà e virtù anche, e forse soprattutto, nella rinuncia al superfluo. Non per odio del piacere, ma per amore della verità e della forza interiore. Camminare come un cinico, in definitiva, è un modo per ricordarci che la vita non è fatta solo di ciò che possediamo, ma anche di ciò che impariamo a non desiderare.