Introduzione: La montagna come metafora dell’esistenza

Zenone di Cizio (foto di Paolo Monti, Servizio fotografico, Napoli 1969) – Fonte Wikipedia

Nel vasto panorama delle filosofie antiche, lo Stoicismo rappresenta un faro di razionalità, resilienza e virtù. Fondata nel III secolo a.C. da Zenone di Cizio, e poi sviluppata da filosofi come Cleante, Crisippo, Seneca, Epitteto e Marco Aurelio, questa corrente filosofa invita l’essere umano a coltivare l’autocontrollo, l’accettazione serena del destino e la virtù come obiettivo essenziale della vita. In un mondo soggetto al mutare costante degli eventi, lo stoico impara a distinguere tra ciò che può controllare (le sue convinzioni, i suoi desideri, le sue scelte) e ciò che invece sfugge al suo potere (il corso della natura, le vicissitudini esterne).

L’”escursionismo stoico” è una metafora di questo atteggiamento, declinata nell’esperienza concreta del camminare tra montagne, boschi e sentieri. Se l’escursionismo può diventare un viaggio interiore, allora lo stoicismo fornisce la mappa morale per orientarsi nelle difficoltà, nel freddo, nella fatica, nell’incertezza del percorso. L’escursionista stoico, più che cercare la comodità o il puro piacere, si misura con il cammino come occasione per plasmare il proprio carattere, addestrare la propria pazienza e temprarsi di fronte agli imprevisti.

Le radici filosofiche: virtù e controllo interiore

Lo Stoicismo spiegato mediante la metafora dell’uovo

I principi chiave dello Stoicismo sono facilmente riconducibili all’esperienza dell’escursionista. Il primo e più importante è la distinzione tra ciò che dipende da noi e ciò che non dipende da noi. Per lo stoico, la felicità non consiste nell’eliminare le difficoltà, ma nel saperle affrontare con serenità. Allo stesso modo, l’escursionista incontra sul sentiero fattori che non può controllare: il meteo, la conformazione del terreno, la presenza di ostacoli naturali, l’eventuale compagnia di altri escursionisti. Ciò su cui può agire è invece il proprio atteggiamento, l’equipaggiamento con cui si prepara, la resistenza fisica e mentale, la motivazione interiore, la scelta di seguire un certo percorso o di modularlo in base alle proprie forze.

La virtù, per gli stoici, non è un ornamento morale, ma la guida fondamentale dell’esistenza. Essere virtuosi significa vivere secondo ragione, in armonia con la natura, accettando il destino senza lamentarsi e senza rinunciare ad agire al meglio delle proprie possibilità. L’escursionismo diventa così una palestra di virtù: affrontare un pendio ripido senza scoraggiarsi, accettare una pioggia improvvisa come parte integrante dell’esperienza, gestire la fatica con lucidità, senza lasciarsi sopraffare dalle emozioni negative. Questa disciplina non è crudele né punitiva: è un esercizio di libertà interiore, il tentativo di diventare padroni di se stessi.

L’equipaggiamento stoico: essenzialità e misura

Se l’approccio epicureo all’escursionismo potrebbe invitare al comfort (un buon cibo nello zaino, un percorso non troppo impegnativo, abbigliamento comodo), quello stoico punta alla sobrietà e all’essenzialità. Ciò non significa essere imprudenti: lo stoicismo non incita all’incuria. L’escursionista stoico si prepara con cura, ma senza eccedere in accessori superflui. Uno zaino leggero, ben organizzato, con il necessario per affrontare cambiamenti climatici e piccoli imprevisti, rappresenta metaforicamente l’atteggiamento giusto: essere pronti ma non schiavi del comfort, avere con sé ciò che serve ma non accumulare zavorre inutili.

Questa scelta minimalista riflette la convinzione stoica che la vera forza non risiede nel possesso di strumenti esterni, ma nella solidità del carattere. L’attrezzatura deve essere un supporto, non un ostacolo: scarponi robusti ma senza pretese, una borraccia d’acqua, una giacca impermeabile, una carta topografica. Non è necessario l’ultimo grido della tecnologia per dimostrare la propria capacità di affrontare la natura. La fiducia in se stessi e la preparazione mentale valgono più di un GPS ultramoderno.

Il sentiero come prova di resilienza

Uno dei temi centrali dello Stoicismo è l’accettazione dell’inevitabile. Le difficoltà non vanno temute o fuggite, bensì riconosciute come parti integranti della vita. Analogamente, sul sentiero l’escursionista incontra salite faticose, terreni sdrucciolevoli, cambiamenti di quota che affaticano le gambe e il respiro. Incontrare un ostacolo non è mai un fallimento, è piuttosto un’opportunità per esercitare la virtù della pazienza e della perseveranza.

La salita ripida diventa il banco di prova della propria volontà: ogni passo faticoso insegna a non cedere allo sconforto, a non lamentarsi inutilmente. Lo sforzo fisico è una dimensione in cui il corpo dialoga con la mente e la mente con la natura: stringere i denti, controllare il respiro, mantenere un ritmo costante, rappresentano simbolicamente il dominio delle passioni e degli impulsi irrazionali. L’escursionista stoico non si crogiola nel dolore, ma lo accetta come parte del percorso, trasformandolo in occasione di forza morale.

La gestione delle emozioni: nessun lamento, nessuna esaltazione

Busto di Lucio Anneo Seneca a Cordoba

Il fulcro dell’etica stoica è l’imperturbabilità (ataraxia). Ciò non significa insensibilità o freddezza, ma capacità di non essere travolti dalle passioni negative. In montagna, questo si traduce nell’evitare sia il vittimismo di fronte alle sventure, sia l’euforia incontrollata davanti al successo. Se il tempo volge al peggio, lo stoico non impreca contro la sfortuna, ma adatta il suo piano, accettando ciò che non può modificare. Se raggiunge una vetta, non si lascia trasportare da un orgoglio smisurato, ma riconosce che il successo è stato possibile grazie all’allenamento, alla costanza, alla buona sorte e alla natura stessa.

Questa sobrietà emotiva non toglie la gioia dell’esperienza, anzi la rende più autentica. Lo stoico sa che la natura non è al suo servizio, non è lì per compiacerlo. La pioggia non è una “cattiveria” del cielo, il masso franoso non è un “torto” contro di lui. Sono eventi del tutto naturali. Allo stesso modo, la vista panoramica non è un dono personale, ma una realtà di cui gode l’escursionista attento. Niente è “mio” o “tutto per me”, ma tutto è parte del cosmo, di cui l’uomo è solo un frammento consapevole.

Il rapporto con la natura: vivere secondo ragione

Lo Stoicismo insegna a vivere secondo natura, e la natura, per loro, era intesa come l’ordine razionale del cosmo. Anche se non tutti ne condividono oggi la visione cosmologica, l’idea di fondo resta suggestiva: non siamo estranei all’ambiente, ne siamo parte. L’escursionista stoico riconosce la montagna, il bosco, il torrente, come elementi di un insieme più vasto e ordinato. L’uomo non è un conquistatore del paesaggio, ma un suo ospite passeggero.

Questa consapevolezza si traduce in rispetto: non lasciare rifiuti, non danneggiare la vegetazione, non spaventare la fauna. Evitare di disturbare l’equilibrio dell’ecosistema significa essere coerenti con l’ideale stoico di virtù e moderazione. Al contempo, c’è un profondo realismo nell’accettare che la natura segue le proprie leggi, indipendenti dal volere umano. Il camminatore stoico non si lamenta del fango o della roccia scivolosa: accetta queste condizioni come facenti parte dell’ordine delle cose. Da ogni situazione può trarre una lezione: attenzione, prudenza, cautela, pazienza.

Un allenamento per la vita quotidiana

Un ulteriore punto di forza dell’escursionismo stoico è la sua valenza pedagogica. Chi vive l’esperienza del cammino come esercizio delle virtù, impara a trasferire queste attitudini nella vita quotidiana. Affrontare le difficoltà sul sentiero senza scoraggiarsi diventa un paradigma per affrontare quelle professionali, famigliari e sociali. Saper mantenere l’equilibrio emotivo di fronte a un imprevisto meteorologico aiuta a reagire con calma ai cambiamenti improvvisi che la vita ci riserva. Riconoscere i propri limiti fisici e imparare a superarli con pazienza rafforza la capacità di auto-disciplina, utile in ogni contesto.

Così, la montagna non è solo un luogo geografico, ma un simbolo dell’esistenza. Ogni salita può rappresentare un ostacolo della vita, ogni paesaggio maestoso uno sguardo sull’ordine più ampio in cui siamo inseriti, ogni sosta un momento di riflessione su ciò che è essenziale. L’escursionismo stoico diventa quindi un metodo di educazione permanente, un training morale che, lontano dall’aula e dai libri, si svolge direttamente nel grande laboratorio della natura.

Il silenzio e la solitudine: lo spazio interiore

Una delle esperienze più tipiche dell’escursionismo è il contatto con il silenzio e la solitudine. Per lo stoico, l’introspezione è uno strumento fondamentale di crescita: nell’ascolto di se stessi, lontani dal rumore della vita urbana, è più facile individuare le proprie reazioni emotive e imparare a dominarle. Seneca consigliava di praticare periodicamente la rinuncia al superfluo, per non dipendere dalle comodità. Camminare a lungo, magari sotto la pioggia o con uno zaino non proprio leggero, serve a sperimentare in modo diretto cosa significa far fronte a situazioni scomode, scoprendo di poterle affrontare senza drammi.

La solitudine del sentiero non è mancanza, ma opportunità: senza distrazioni, l’escursionista sta con se stesso, si osserva, si mette alla prova. Quando il percorso diventa metafora, ogni passo conduce a una maggiore consapevolezza interiore. Nessun pubblico a cui dimostrare qualcosa, nessun applauso, nessun giudizio se non il proprio. È il contesto ideale per esercitare la virtù della sincerità con se stessi, una condizione indispensabile per qualsiasi crescita morale.

La meta come pretesto

Per lo stoico non conta tanto il traguardo quanto il modo di affrontare il percorso. Arrivare in vetta è una soddisfazione, certo, ma non deve essere l’unico obiettivo. Se la natura o le proprie forze impediscono di raggiungere la cima, lo stoico non si dispera: accetta il limite, torna indietro con dignità, consapevole di aver comunque tratto valore dall’esperienza. La meta è un riferimento, non un assoluto. Ciò che conta è aver camminato con rettitudine, avere mantenuto controllo su se stessi, avere affrontato le difficoltà senza compromettere i propri principi.

In un’epoca che celebra la performance, il risultato, la scalata (anche sociale), l’escursionismo stoico ci ricorda che l’importante è come ci comportiamo, non quanti metri superiamo. Il sentiero non è una gara, ma un esercizio di carattere. Anche l’eventuale rinuncia, se compiuta con saggezza, diventa una vittoria interiore: la capacità di accettare i limiti imposti dalla natura o dal proprio corpo, senza lamento né rimpianto.

Conclusioni: una via per la serenità e la forza

L’escursionismo stoico non è un movimento codificato o una pratica ufficiale: è una metafora ricca di spunti. Applicare i principi dello Stoicismo alla camminata in montagna significa praticare una filosofia antica in un contesto contemporaneo, trovando nuovi modi di dare spessore morale a un’attività ricreativa. In un’epoca in cui l’esperienza outdoor è spesso presentata come sfida estrema, come turismo esperienziale o come pura evasione, la prospettiva stoica invita a darle un valore etico e formativo.

Camminare con spirito stoico non significa privarsi del piacere di una bella giornata all’aria aperta, ma rendere quell’esperienza più profonda. Dietro ogni passo c’è la forza di un pensiero millenario: nulla di ciò che accade deve turbare la nostra pace interiore, nessuna difficoltà ci rende schiavi del lamento, nessun traguardo è indispensabile per dare senso alla vita. La natura offre lo scenario, la filosofia lo strumento, e l’uomo stoico unisce i due elementi per forgiare una serenità lucida, una forza calma, una maturità interiore capace di affrontare ogni sentiero, dentro e fuori di sé.

[Nella foto in alto: i resti della Stoà Pecile ad Atene]

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