Quando ci troviamo immersi nella natura, è facile lasciarsi trasportare dall’entusiasmo di un incontro ravvicinato con un animale selvatico. Che si tratti di un cervo maestoso, di un gregario cinghiale o persino di un timido lupo intravisto all’orizzonte, l’emozione è sempre grande. Al tempo stesso, è essenziale ricordare che questi incontri rappresentano un momento di delicato equilibrio fra l’essere umano e l’ambiente circostante. L’idea di un “galateo dell’escursionista” nasce proprio dalla necessità di avere una serie di regole non solo per la sicurezza di chi cammina in montagna, nei boschi o in altri ambienti selvatici, ma anche – e soprattutto – per il benessere e la conservazione degli animali che popolano questi luoghi. Dopotutto, ogni escursione dovrebbe diventare un’occasione di scoperta e di rispetto, evitando di trasformarsi in una fonte di stress per la fauna.
Per affrontare questo tema, è utile partire da un presupposto: ogni animale è portatore di comportamenti, abitudini e necessità che non sempre coincidono con l’idea romantica che noi possiamo farcene. In certi casi, i documentari e i racconti possono far sembrare più facili o più dolci di quanto non siano in realtà le interazioni con la fauna selvatica. Teniamo presente che un incontro ravvicinato, pur meraviglioso, richiede consapevolezza delle possibili reazioni dell’animale, che di norma tende a fuggire, ma in alcuni casi potrebbe anche mettersi sulla difensiva o mostrare comportamenti aggressivi, se percepisce una minaccia immediata. La prima grande regola, dunque, è mantenere sempre una distanza di sicurezza adeguata, in modo da non invadere lo spazio vitale del soggetto osservato. Con “adeguata distanza” s’intende il non far percepire in alcun modo la nostra presenza come un pericolo: in pratica, se l’animale mostra segnali di nervosismo – come movimenti repentini, sbuffi, versi brevi e ripetuti – potremmo essere già troppo vicini.
Un altro aspetto centrale è la gestione del rumore. Parlare a voce molto alta, schiamazzare o addirittura emettere suoni improvvisi per attirare l’attenzione dell’animale, costituisce un forte elemento di disturbo. Una buona consuetudine, quando ci si muove in una zona dove è plausibile incontrare la fauna, è cercare di camminare in silenzio o in maniera composta, magari conversando a bassa voce con i compagni di escursione. Questo permette non solo di osservare gli animali in modo più discreto, ma anche di cogliere meglio i suoni dell’ambiente circostante, come i richiami degli uccelli o i segnali di piccoli mammiferi. Al di là del piacere dell’avvistamento, infatti, camminare nella natura implica anche la possibilità di immergersi in una “colonna sonora” del tutto diversa da quella a cui siamo abituati in città: fruscii, versi, ronzii, cinguettii. Imparare ad ascoltarli è parte integrante del vivere l’escursionismo in modo completo.
Nella stessa ottica di un comportamento rispettoso, si pone il tema del contatto fisico e del tentativo di avvicinamento deliberato. Accarezzare un cucciolo di cervo o offrire cibo a uno scoiattolo può sembrare un gesto amorevole, ma in realtà è fortemente sconsigliato e, in alcune aree protette, esplicitamente vietato. Gli animali selvatici devono mantenere un livello di diffidenza nei confronti dell’uomo, così da salvaguardare la propria incolumità. Se un cervo, un capriolo o una volpe iniziano ad associare la presenza umana al cibo, potrebbero avvicinarsi in futuro a persone con comportamenti meno corretti o potrebbero gradualmente perdere la capacità di reperire nutrimento in modo autonomo. Inoltre, i cuccioli che ricevono l’imprinting dell’uomo rischiano di venire rifiutati dai genitori e di non sviluppare le abilità di sopravvivenza necessarie nell’habitat naturale. Dunque, per quanto possa essere emozionante, non è un atto di benevolenza, bensì un potenziale pericolo per la continuità della specie.
Un discorso analogo vale per gli animali più grandi o potenzialmente pericolosi. Chi va in montagna sa che la probabilità di incontrare un orso o un lupo è comunque esigua, ma non impossibile. In quelle rarissime occasioni, l’ideale è restare fermi, valutare la situazione e non compiere movimenti bruschi. Se l’animale ci ha notati, ci si dovrebbe allontanare gradualmente, senza correre e senza dare le spalle, mantenendo un atteggiamento calmo e vigile. L’istinto di fuga – soprattutto correndo a gambe levate – potrebbe infatti innescare, in specie predatorie come il lupo, la curiosità o l’istinto predatorio. Tuttavia, i lupi di norma non attaccano l’uomo: se non si sentono minacciati, si allontanano rapidamente e in silenzio. Più complesso è il caso degli orsi, che possono reagire in maniera più aggressiva se hanno piccoli al seguito. Anche qui la prontezza mentale e la calma possono fare la differenza. Molti parchi naturali offrono sessioni informative su come comportarsi in caso di incontro con grandi carnivori e sarebbe sempre consigliabile partecipare a tali incontri formativi, laddove disponibili, per avere un quadro più chiaro e personalizzato in base alla zona geografica che si frequenta.
Non meno importante è il capitolo riguardante i cani al seguito dell’escursionista. Molti amanti della natura amano portare con sé il proprio amico a quattro zampe. Nulla di male, purché si tengano presenti alcune accortezze. Innanzitutto, in tantissime aree protette vi sono regole precise sull’uso del guinzaglio, proprio per evitare che il cane, magari per gioco, si lanci all’inseguimento di un animale selvatico. Anche cani addestrati e normalmente obbedienti potrebbero farsi trascinare dall’euforia di un odore nuovo o di un piccolo animale che scappa. Questo mette in pericolo il cane, che potrebbe imbattersi in animali potenzialmente aggressivi, e disturba profondamente la fauna locale, che subisce una sorta di “caccia” non voluta. Altro aspetto da considerare è la trasmissione di malattie o parassiti: i cani regolarmente vaccinati e trattati con antiparassitari riducono i rischi di contagio, ma in ogni caso è sempre opportuno evitare contatti ravvicinati tra animale domestico e fauna selvatica. Perciò, quando si sentono abbaiare cani in lontananza durante un’escursione, spesso significa che stanno rincorrendo ungulati o altri animali, con conseguenze negative sia per gli uni che per gli altri.
Un ulteriore elemento spesso trascurato è la gestione dei rifiuti e dei resti di cibo. Abbandonare avanzi lungo il sentiero, anche se apparentemente “organici” come bucce di frutta, significa modificare le abitudini alimentari di alcuni animali e attirarne altri. Questo provoca uno sbilanciamento nell’ecosistema locale, perché gli animali diventano più propensi ad avvicinarsi ai luoghi frequentati dall’uomo, in cerca di cibo facile. Mantenere il principio di “portare a casa ciò che si porta in montagna” è quindi non solo un atto di civiltà e di ordine, ma anche la chiave per lasciare la natura così come l’abbiamo trovata, senza incoraggiare comportamenti innaturali della fauna. Inoltre, i resti di cibo potrebbero contenere sale, zuccheri e sostanze non adatte alla dieta degli animali selvatici, con ripercussioni anche sulla loro salute.
Nel “galateo dell’escursionista” rientra anche la sfera dell’osservazione e della fotografia. Riprendere con una fotocamera o un binocolo la fauna è un’esperienza affascinante, ma dobbiamo sempre chiederci se stiamo invadendo troppo l’intimità dell’animale. Alcuni appassionati di fotografia naturalistica, per esempio, usano teleobiettivi di grande portata, in modo da non doversi avvicinare eccessivamente ai soggetti ritratti. Se invece ci troviamo a pochi metri da un animale, il consiglio è di limitare i movimenti e di evitare scatti col flash, specialmente se parliamo di specie notturne come i rapaci o i mammiferi crepuscolari. Il bagliore improvviso può spaventarli o disorientarli, creando stress e possibili traumi. Anche in questo caso, la discrezione e la moderazione restano i principi guida, preferibili alla smania di immortalare tutto e subito, senza considerare le possibili conseguenze.
Un problema particolarmente sentito negli ultimi anni riguarda l’interazione con i cuccioli apparentemente “abbandonati”. Alcuni escursionisti, mossi da buone intenzioni, tendono a raccogliere cerbiatti o piccoli di capriolo trovati da soli, credendo che la madre li abbia lasciati. In realtà, in molte specie di ungulati, è normale che la madre si allontani per cercare cibo e che lasci il cucciolo fermo e nascosto nella vegetazione, per poi tornare da lui quando le condizioni sono tranquille. Prelevare un cucciolo può danneggiarne irreparabilmente la sopravvivenza, poiché la madre non lo riconoscerà più se è stato toccato dall’uomo o lo percepirà come compromesso da odori estranei. Per questo, gli enti di tutela raccomandano di non raccogliere mai i cuccioli, a meno che non sia evidente un pericolo gravissimo (come un incendio, un infortunio apparente o la presenza di un predatore incombente). In caso di dubbio, è preferibile contattare il corpo forestale o i ranger del parco per ricevere istruzioni.
Va ricordato che l’Italia, nelle sue diverse regioni, presenta una grande varietà di habitat: zone alpine, appenniniche, costiere, paludose, collinari e lacustri. In ognuna di queste, le “regole non scritte” di convivenza con gli animali possono assumere sfumature diverse. In alcune aree è più probabile imbattersi in branchi di cinghiali, in altre potrebbe capitare di scorgere un’aquila in caccia o un gruppo di stambecchi su un dirupo. Conoscere le caratteristiche dell’area che stiamo per esplorare, informandoci prima della partenza, ci aiuta a capire meglio che tipo di fauna potremmo incontrare e quali comportamenti sia opportuno adottare. Molti parchi naturali offrono guide, cartelloni informativi e incontri con gli esperti del luogo, e sarebbe sempre consigliato approfittarne. Per chi intende fare escursioni in maniera frequente e appassionata, vale sicuramente la pena dedicare del tempo all’approfondimento di queste tematiche: non solo per vivere un’esperienza più completa, ma anche per diventare ambasciatori di un turismo sostenibile.
Anche il semplice gesto di segnalare con discrezione la propria presenza può essere utile a evitare incontri troppo ravvicinati. Specie come l’orso o il cinghiale, ad esempio, hanno spesso un udito e un olfatto sviluppati, e se percepiscono l’arrivo di umani tendono a defilarsi per conto proprio, senza farsi vedere. A volte, un lieve parlottio o un campanellino appeso allo zaino può servire a scongiurare sorprese reciproche, specialmente nelle zone boscose dove la visibilità è ridotta. Questo vale ancor di più nei momenti di passaggio tra il giorno e la notte, quando gli animali selvatici sono più attivi e noi abbiamo meno prontezza di scorgere i loro movimenti.
Infine, un aspetto che vale la pena sottolineare è l’importanza della condivisione delle esperienze. Un vero amante della natura non tiene per sé le conoscenze acquisite, ma le trasmette ad amici, parenti, compagni di trekking, in modo che tutti possano imparare a relazionarsi correttamente con l’ambiente selvatico. Nel “galateo dell’escursionista” è anche scritto tra le righe che si promuove l’educazione e la sensibilità collettiva. Spiegare ai bambini perché non bisogna dar da mangiare agli animali, o perché bisogna muoversi in silenzio lungo il sentiero, rappresenta un investimento sul futuro: saranno loro, un domani, a ricordarsi di queste piccole grandi regole e a farle proprie, contribuendo alla salvaguardia degli ecosistemi.
Il contatto con la fauna selvatica è uno dei momenti più preziosi che un appassionato di escursionismo possa vivere. Non c’è nulla di paragonabile a una camminata in un bosco dove, quasi per incanto, spunta un capriolo che ci osserva curioso per pochi istanti prima di sparire tra gli alberi. Quegli istanti di meraviglia non devono trasformarsi in un inseguimento, in un gesto invasivo o in un’interferenza con il corso naturale della vita di quella creatura. Se impariamo a rimanere al nostro posto, ad accogliere con gratitudine quell’incontro fugace, con il massimo rispetto e senza invadere lo spazio vitale dell’animale, allora avremo colto l’essenza stessa dell’escursionismo etico. Questo significa onorare il concetto di “galateo” non come un insieme di regole rigide e prescrittive, ma come una forma di rispetto reciproco, di sguardo consapevole e di profonda connessione con tutto ciò che vive e respira nei luoghi che attraversiamo. Quando rientriamo a casa, dopo una giornata trascorsa a contatto con la natura, portiamo con noi un bagaglio di emozioni e di riflessioni che può arricchire la nostra vita quotidiana. Sapere di aver agito con sensibilità e attenzione, di aver evitato rumori inutili, di non aver spaventato animali, di aver raccolto i nostri rifiuti e di aver lasciato l’ambiente intatto, ci rende davvero partecipi di un processo di tutela dell’ecosistema. Siamo ospiti nei territori degli animali e come tali dobbiamo comportarci: educati, silenziosi, rispettosi delle distanze, pronti a gioire di uno sguardo fugace ma senza imporre la nostra presenza. Saperlo fare con la giusta mentalità è un segno di civiltà, ma anche un grande