Allenamento, questo sconosciuto. Devo ammettere che, all’inizio della mia esperienza nella marcia di regolarità in montagna, l’allenamento era, se non proprio inesistente, quantomeno approssimativo. Il mio ingresso in questo mondo avvenne quasi per caso, quando, in oratorio, due ragazzi “più grandi” di me mi proposero di entrare nella società sportiva del paese, una squadra che si avvicinava al quindicesimo anno di attività con un bel blasone già alle spalle e molto ambiziosa. Non ci pensai più di cinque minuti prima di accettare con entusiasmo questa nuova esperienza. La società mi fornì tutta l’attrezzatura necessaria, inclusi gli scarponi, appartenuti in precedenza a un atleta che, dopo una sola stagione, aveva deciso di dedicarsi ad altro.
Data la mia totale inesperienza nel mondo della montagna, gli inizi furono estremamente faticosi, se non addirittura disastrosi. A livello agonistico, ero in grande difficoltà: durante le prime escursioni domenicali, organizzate per testare la resistenza di ciascun atleta, non riuscivo mai a tenere il ritmo dei miei compagni d’allenamento. Appena il sentiero si faceva più ripido, perdevo immediatamente terreno. Diverso era il discorso per l’apprendimento tecnico: grazie all’insegnamento di un maestro straordinario (che proprio quell’anno avrebbe vinto il suo primo titolo nazionale individuale a soli 22 anni), riuscivo a comprendere rapidamente le logiche di questa disciplina così particolare. Tuttavia, ci sarebbero voluti almeno cinque o sei anni per arrivare alla consapevolezza che la tecnica e la passione, da sole, non sarebbero mai state sufficienti per competere ad alti livelli. Per eccellere, era necessario un serio allenamento fisico.
La domanda che molti si pongono è: serve davvero allenarsi per praticare la marcia di regolarità in montagna? La mia risposta è un deciso sì.
Dopo tante stagioni trascorse sperimentando diversi metodi per arrivare pronto all’inizio delle gare e mantenere la giusta condizione durante tutto il campionato, credo di aver trovato, dopo vent’anni di esperienza, un approccio efficace. Nei primi anni alternavo le escursioni a partite di calcio nel campetto del paese, convinto che potessero aiutarmi a migliorare “il fiato” e “la gamba”. Tuttavia, spesso le uscite venivano annullate a causa del maltempo, e l’ora settimanale di corsa dietro a un pallone non era sufficiente per costruire una vera preparazione atletica.
Solo dopo il servizio militare arrivai alla decisione definitiva: la marcia di regolarità sarebbe stata il mio sport principale e di conseguenza avrei dovuto impostare un allenamento costante e specifico. Il problema era che, almeno nell’ambito della mia società, nessuno sapeva darmi indicazioni precise. Molti atleti si affidavano esclusivamente al loro talento naturale, mentre io avevo bisogno di qualcosa di più strutturato per sentirmi davvero competitivo.
Per alcuni anni, le mie prestazioni furono ancora altalenanti. Nelle gare individuali più impegnative riuscivo a cavarmela grazie all’esperienza, ma i miei limiti fisici erano evidenti. Nelle competizioni a pattuglie o a coppie, invece, spesso mi venivano affiancati atleti molto performanti, in grado di compensare le mie difficoltà, e questo mi permetteva di ottenere risultati discreti ripagando i “loro sforzi”. Tuttavia, la svolta arrivò a metà degli anni ’90 quando in squadra giunse un altro fuoriclasse della marcia di regolarità che mi aprì gli occhi sull’importanza dell’allenamento sistematico. Da allora, iniziai a seguire un programma più rigoroso, con l’uscita serale infrasettimanale di 14-15 km insieme al neoarrivato. Le prime volte tornavo a casa completamente esausto, ma col tempo il mio fisico si adattò, migliorando la resistenza e la capacità di recupero.
Fu in quel momento che compresi come l’allenamento, inizialmente percepito come un sacrificio, fosse in realtà un investimento sulla mia salute innanzitutto e sulla qualità delle mie prestazioni. Da allora, ho abbandonato le abitudini poco efficaci dei primi anni: niente più lunghi stop invernali di due o tre mesi e neppure pause di qualche settimana. L’unico motivo valido per interrompere l’attività fisica è un malessere o un’influenza.
Negli ultimi anni, il mio programma di allenamento è stato strutturato sul lavoro aerobico con due uscite settimanali, solitamente il sabato e la domenica, a causa di impegni lavorativi che rendono impossibili le escursioni infrasettimanali soprattutto nei periodi con l’ora legale. Per un certo qual tempo però non mi sono lasciato scoraggiare nemmeno dal buio, allenandomi spesso con la lampada frontale.
Ma l’allenamento non si limita all’aspetto fisico. Un altro elemento determinante della marcia di regolarità in montagna è la preparazione tecnica, che permette di conoscere a fondo il proprio passo e di sincronizzare perfettamente il movimento con la gestione delle medie orarie nelle gare. Per questo motivo, è essenziale eseguire test per determinare la lunghezza del proprio passo in tutte le situazioni che si possono venire a creare in una competizione e di conseguenza elaborare una tabella personalizzata.
Negli anni, ho sviluppato un metodo personale per la misurazione del passo, basato su un approccio più pratico e meno teorico. Piuttosto che eseguire lunghe sessioni su asfalto o noiosi tratti pianeggianti, preferisco testare la mia cadenza direttamente in montagna, su tratti di percorso misurati di 300-400 metri concatenati uno appresso all’altro con variazioni, spesso naturali, di pendenza e terreno. Analizzando i risultati intermedi, è possibile individuare le differenze di comportamento del passo in base alle condizioni del percorso, ottenendo dati più realistici e utili per la competizione.
Per chi si avvicina alla marcia di regolarità senza esperienza escursionistica, il consiglio è di rivolgersi a una società sportiva già attiva in questa disciplina. Le società possono fornire indicazioni su quali aspetti sviluppare e quale categoria di gara sia più adatta alle proprie capacità. Nella Federazione Italiana Escursionismo, le categorie per i maggiorenni sono tre: Senior, Master e Amatori, sia maschili che femminili mentre nelle giovanili esistono 2 categorie; ragazzi/cadetti che comprendono maschi e femmine dai 10 a 15 anni e la categoria juniores che giunge fino alla maggiore età.
Per un termine di paragone e dare un’indicazione orientativa l’atleta Senior è in grado di mantenere una velocità verticale compresa tra 800 e 1.000 metri all’ora, un Master tra 600 e 800 metri all’ora, e un Amatore tra 400 e 600 metri all’ora. Questi valori sono nettamente superiori ai ritmi standard del CAI, che si attestano intorno ai 300 metri all’ora. È importante sottolineare però che, in una gara individuale di marcia alpina, il regolamento impone limiti precisi: non si possono superare i 450 metri di dislivello in una singola salita e gli 800 metri complessivi.
Oltre all’allenamento fisico, la tecnica gioca un ruolo determinante. Dato che la federazione non prevede la figura dell’istruttore ufficiale, il consiglio è di affidarsi a un atleta esperto e competente. Le basi sono semplici se spiegate nel modo giusto, ma possono diventare fonte di confusione se l’insegnamento non è adeguato. Per chi desidera prepararsi al meglio, anche se la stagione è già avviata, consiglio di effettuare almeno un’uscita infrasettimanale e una nel week-end, con percorsi progressivamente più impegnativi. Si può iniziare con 8 km e 350-400 metri di dislivello, per poi aumentare gradualmente fino a 12-15 km e 1.000 metri di dislivello; quello che vi sembrava impossibile all’inizio del ciclo di uscite potrebbe rivelarsi come una piacevole sorpresa. Come si è potuto ben capire, questa disciplina non si basa solo sulla forza fisica, ma anche e soprattutto la capacità di gestire il passo mantenendo una velocità costante in base alla media oraria richiesta dagli organizzatori. È qui che il “contare i passi” diventa un elemento fondamentale della strategia di gara, sapere dove “spingere” un poco perché le condizioni lo esigono e dove invece “mollare” per le variate condizioni del terreno, piuttosto che un cambio di pendenza, piuttosto che di un tratto più o meno accidentato. Una volta acquisite queste capacità agonistiche/tecniche basterà “divertirsi” facendo uscite anche senza l’ossessione di un cronometro o della forzata prova del passo; accrescerà la bellezza dell’escursione e vi terrà la mente libera per il prossimo impegno agonistico.
Emanuele Corti